Roma – Italia 2015
Foto Alex Mezzenga
Testo Silvia Domenici
Un imperante bisogno di attenzione. Un bisogno spasmodico di essere il centro della narrazione, di localizzarsi. Non tanto la voglia di trovarsi in un certo posto, ma la necessità incalzante di far sapere che si è lì. Questi sono i Turisti 2.0
Qualcosa che va oltre il semplice narcisismo. Perchè quella del selfie non è la moda del momento, ma l’aurora di una nuova tendenza culturale. Il vestito più calzante per esprimere in un attimo ciò che mille parole forse non potrebbero fare mai. L’asta da selfie, oggetto più che familiare ormai di culto, si è diffuso in maniera esponenziale nei luoghi ad alta intensità turistica. In un mondo aggressivo, labile, frenetico al punto da essere quasi a volte senza tempo, ciò che resta è lo scatto. Un mondo contrastante, a tinte forti, che tralascia la “Grande Bellezza” dei monumenti della città eterna per lasciare il posto all’ultimo smartphone o tablet uscito sul mercato.
Siamo autoritratti viventi delle nostre foto. Poco importa del luogo. Noi ci siamo e ci specchiamo nel nostro iphone, camminando ad occhi bassi e talmente concentrati da non accorgerci della vita che ruota intorno a noi,neanche camminassimo sulle rotaie.
Figli di una generazione che ha un bisogno atavico di comunicare, ma che poi, non vuole sprecare parole. Ogni istante è affidato al traduttore multimediale. Un click e siamo in rete. E poi il via a colpi di like e twitter. In pochi secondi veniamo catapultati dalle nuove tecnologie, risparmiandoci dall’imbarazzo di scrivere e perdere tempo. In un attimo, complici il Grande Fratello “Social network” , la nostra vita è in piazza. Una piazza globale,milioni di utenti connessi che si battono a colpi di click. Un mondo intero che “parla”, si confronta,si scontra. Parla ma non usa parole.
Eletta parola dell’anno 2013, “selfie” è lo scatto di sé con i dispositivi telematici. E poco ce ne importa se la stessa radice selfish significa egocentrico. Essere è condividere. Se non scatti un selfie non segui la moda, non comunichi,ma soprattutto non sei. É l’ansia di possedere quell’attimo, di entrare nella storia con un semplice iphone. Incuranti di ciò che ci circonda, persino dell’occhio del fotografo che ci è quasi sotto il naso, concentrati e tritati in questa pratica che sembra sempre di più necessaria più che voluta. Una visione non introspettiva, ma sociale. Paradossale e grottesco scattare foto a se’ stessi ignorando in realtà il monumento. Selfie in ogni luogo e circostanza. Quello che conta è solo fotografarSi. Condividiamo tutto, ma non comunichiamo. Una moda che in alcuni casi diventa vera e propria patologia. Siamo autori degli scatti. Ne siamo protagonisti indiscussi. Scatti ironici, erotici, talvolta persino pericolosi. Sempre pronti per essere condivisi e pubblicizzati. Scatti dei quali diventiamo il fulcro. Fino a qualche anno fa i turisti si accalcavano per ore davanti le transenne del Colosseo per essere i primi a fotografare il colosso della civiltà romana. Ora il grande gigante viene messo in secondo piano, se tutto va bene semplice contorno di turisti protagonisti assoluti.
Non un semplice autoscatto per immortalare una vacanza. Ma un diario nitido e vivido di ciò che è la nostra vita. Tutti sanno tutto di tutti. Date, orari, luoghi. Nulla è lasciato al caso. É tutto perfettamente circoscritto e nello stesso tempo aperto al commento.
E’ quello che fa la differenza. La condivisione.
L’avvento delle nuove tecnologie che sconvolge la nostra vita e la resetta.
Ci sentiamo isolati e spersonalizzati senza social network, senza selfie, senza tablet. Possedere l’ultimo prodotto uscito sul mercato è ormai un bene primario.
E’ ciò che ci consente di stare al passo con i tempi.
La nostra anima è sempre di più affidata ad uno scatto, ad un twitt. Dal ragazzino al nonno alle celebrità. Uno stravolgimento totale dove finiamo per essere tutti uguali. Ci osserviamo, ci rimiriamo, ci mettiamo in vetrina in qualcosa che travalica l’autostima e finisce talvolta solo in un pacchiano esibizionismo. Naturalmente Condiviso.