BIOGRAFIA ALEX MEZZENGA
Nato a Roma mercoledi 18 agosto del 1971, si diploma nel 1991 all’Istituto di Stato per la Cinematografia e la TV “Roberto Rossellini” come fotoreporter e direttore della fotografia sotto la guida dei professori Riccardo Pieroni, Urbano Cirimele e Bianca Di Cosimo.
Inizia lavorando nel cinema come fotografo di scena. Dal 1998 si dedica alle tematiche sociali collaborando con L’ESPRESSO. Allievo del Maestro Franco Fontana, ha collaborato con “Reporter Associati”, “Iber Press” l’agenzia LaPresse.
Oltre a seguire notizie di carattere nazionale ed internazionale si occupa di progetti a medio – lungo termine legati ai conflitti ed ai post-conflitti con particolare attenzione alle situazioni Medio Orientali e Latino Americane.
Riceve nel 2003 il premio Le logge al Toscana Foto Festival per il miglior portfolio. Nel 2005 riceve il primo premio Raffaele Ciriello al Lucania Fim Festival nella sezione Giornalismo di Guerra. Nel 2014 al concorso “Le Clarisse” riceve il Premio della Giuria per il miglior portfolio al Toscana Foto Festival
Dirige Corsi e Workshop di Fotoreportage a Roma, Milano, Bogotá, Buenos Aires, al Toscana Foto Festival di Massa Marittima, all’Universitá di Roma Tor Vergata, all’Istituto di Stato per la Cinematografia e TV “Roberto Rossellini”
Nel 2010 è Fondatore e Direttore Artistico dell’Associazione Culturale Nuovi Scenari Roma.
E’ Art Director delle Mostre Fotografiche Franco Fontana & “Quelli di Franco Fontana” a Roma presso il Complesso Monumentale dei Dioscuri al Quirinale settembre 2014 e Palazzo Merulana marzo 2019.
Nel 2015 insieme ai Fotografi dello Studio Cromosoma è Fondatore della Cromosoma Photo Academy.
Nel 2018 è socio fondatore dell’Associazione Culturale FARO – Fotografia con l’obiettivo di diffondere la cultura fotografica attraverso la manifestazione de il “Mese della Fotografia a Roma” che si è svolto nel mese di marzo 2019.
Da 2019 è Vice Presidente dell’Associazione Culturale Roma Fotografia nata con l’obiettivo di valorizzare il talento e la professionalità di soci e partner, in Italia e all’ estero, creare una rete che assegni a Roma, città creativa dell’Unesco per il Cinema, il ruolo di capitale della fotografia e la renda un punto di riferimento nazionale e internazionale.
Dicono di lui:
“Il lavoro di Alex Mezzenga è un affascinante lavoro di Reportage, che testimonia e denuncia alcuni dei mali del nostro tempo. Attraverso un linguaggio e una scrittura che non è solo cronaca, ci comunica una profonda e spontanea riflessione interiore sulla fotografia” Franco Fontana
“Alex Mezzenga sposta con il suo lavoro la narrazione tradizionale del reportage; non vuole angosciare, ma attraverso una visione diversa, far pensare” Luigi Erba
“Le immagini di Alex Mezzenga dal fortissimo impatto grafico, frutto di un progetto, ma anche della disponibilità ad accettare l’imprevisto e a farsi sorprendere, diventando manifesti al potere dello sguardo libero” Riccardo PieronI
Un fotoreporter affermato, uno che ha collezionato premi nella vita e raccolto soddisfazioni importanti nel suo lavoro. Ma conoscendolo, capisci che è uno partito da zero, uno che la vita la descrive a colori, ma che non è stato sempre cosi. Ha un mondo dentro. Un mondo vasto ed eterogeneo quante sono le cose che ha visto e vissuto. Sei di fronte a qualcuno che ha trasformato la fotografia da un lavoro ad uno stile di vita. Spiegare a chi non scatta che cosa dona la fotografia è quasi come combattere con i mulini a vento. C’ è chi ti guarda distaccato, chi è perplesso,chi affascinato,chi non comprende. Si tratta di oltrepassare l’orizzonte dei propri sguardi , “sentire” l’emozione di quel click che ferma l’ istante e lo conserva per sempre come un ricordo. Ma tutto questo richiede un salto. E lui quel salto lo ha fatto concretamente. Ha oltrepassato quella linea che separa il certo dall’ incerto, che divide la via segnata dal buio più totale. Un salto che ha il tempo di uno scatto. E’ quello scatto che vale più di mille parole. Uno scatto dura come un battito di ciglia ma ferma il ricordo per sempre. Lo imprime in modo indelebile. La fotografia è qualcosa che a volte ti salva la vita. E con Alex esercita questa magia. Qualcosa che gliela cambia in modo radicale. Lo fa uscire dalla realtà della periferia romana e da tutto ciò che ne viene. Lo porta a frequentare l’Istituto di Stato per la Cinematografia e Tv Roberto Rossellini. Trova dei professori che vanno oltre quel ragazzo cresciuto in borgata e deluso dalla vita. Con estrema intelligenza e lungimiranza trasformano la sua rabbia in qualcosa di costruttivo. Nel 1991 si diploma, con ottimi voti. Ma il problema lavoro è alle porte e così grazie ad un professore che lo nota,riesce a lavorare in due film come fotografo di scena. A 26 anni, apre un negozio ed inizia a fare il fotografo per matrimoni. Una strada avviata . Sembra la strada segnata da sempre. E’ la sicurezza,anche materiale. Ma accade qualcosa che gli cambia la vita di nuovo .Che si chiami Destino o Caso è la svolta. L’ incontro folgorante con Fontana. Un incontro casuale come solo i Grandi Incontri , quelli decisivi , sanno essere. Alex la chiama Ciclicità della vita. Un pugno nello stomaco che in realtà è un pugno al cuore. Nel 1999 vede Franco Fontana per la prima volta,e l’anno dopo frequenta il suo workshop “Colore e Creatività”. Uno dei più grandi Fotografi Italiani Contemporanei. Inizia ad osservarlo,a parlarci. Lo colpisce il modo di esporre i concetti legati alla fotografia,concetti alquanto lontani dai suoi .Ma il cambiamento in Alex è già in atto. Inizia a sentire che in se’ stesso qualcosa non va più. Ci sta stretto in quella vita così delineata e perfetta. Non è la sua. Vuole sentirsi vivo. Ripensa alle chiare parole di Franco Fontana: “Tu non devi fare matrimoni e neanche funerali. Tu devi raccontare storie”. Alex vuole essere padrone della sua vita,delle sue scelte. Capisce che quella strada cosi delineata non gli appartiene.
E’ un terremoto di emozioni. Un uragano che lo investe e travolge ciò che gli è intorno. Un giorno, al dubbio,alla comprensibile paura,Fontana risponde con fermezza come un lampo che squarcia un cielo di certezze. “Ma tu di che hai paura? Le paure stanno solo nel buio. Tu accendi la luce e segui la luce”. E’ la frase che lo scuote. Chiude lo studio fotografico ed inizia il nuovo ciclo della sua vita. Una nuova vita. Viaggia in Medio Oriente. Da quell’ istante, prende coscienza: la sua vita non è più la stessa. Lui non sara’ più lo stesso. Abbandona perfino il suo nome ,Alessandro, ed “adotta” come un omaggio quello che gli regala il Maestro .Ora è Alex. Una persona nuova. Con altri pensieri,altre visioni,altre direzioni. Mette tutto in discussione. Riparte da zero. Si ritrova a lasciare regole e convinzioni, ed inizia a girare il mondo per una missione. Raccontare storie. Raccontare volti. Cambia la visione della vita, cambia lui. Dal Libano all’Iraq ,dall’Inghilterra alla Colombia. Incrocia mille volti sulla sua strada, racconta vite ed in ogni posto lascia parte di sè. Lascia il cuore. Per raccontare le cose bisogna viverle.
Mentre viaggia però sente sempre più forti le sue radici. Vuole raccontare da dove viene, chi era. Uno fiero di venire dalla periferia. Incredibile a crederci. Dedica un’ intervista “fotografica” a ragazzi della strada che hanno deciso di uscire fuori dall’abbandono sociale..intervista tre ragazzi di borgata “ Le facce scoperte”. E forse lui in quei ragazzi di periferia ci si rivede. La paura di essere assorbiti da quel buco nero che è la strada, perché se nasci ai bordi,lontano dai ricchi quartieri della “Roma bene”, cammini su un filo. Cammini al margine. Ed a finire nel giro sbagliato, a cadere nel baratro,ci metti davvero poco. A quel punto, se non scegli ogni giorno di vivere, puoi morire ad un lato della strada con una siringa nel braccio o,se ti dice bene , finisci dietro le sbarre. Ne vede tanti di suoi amici finire così nel corso degli anni. Incontra questi ragazzi semplici che vivono orgogliosamente a Tor bella Monaca,quartiere periferico e simbolo del degrado ,nome quasi impronunciabile nell’ immaginario collettivo ma per loro,“invivibile solo per chi non ci vive” . Alex è uno così. Semplice , uno con cui ci parli di tutto. Si avvicina alle cose, le vuole vedere da vicino, le vuole vivere. Perché come direbbe il “suo” modello Robert Capa “ se la foto non è buona vuol dire che non eri abbastanza vicino”.
E’ il suo modo di essere. E’ uno che per spiegarti le cose ha un solo sistema. Te le fa vivere. Anche semplicemente guardando le sue foto, hai l’idea di trovarti con lui quando le ha scattate. Sono foto istintive, fatte senza guardare in macchina. Tutte rigorosamente scattate con un obiettivo 17 fisso ad una distanza di un paio di metri circa. Non c’è nulla di razionale, scatta sull’onda dell’emozione. Lui è lì, è in “quel” preciso istante. Vuole raccontare il mondo con i suoi occhi. Occhi che penetrano la realtà, la sentono sulla pelle, la imprimono con la macchina fotografica.
Sempre con il sorriso sulle labbra Alex, uno ironico che non si prende mai troppo sul serio.. anche se a volte negli occhi ha quel velo di malinconia di chi ha visto anche la parte brutta della vita. La faccia della devastazione delle zone di guerra, il senso di impotenza che ti porti dentro quando vivi certe realtà. Così lontane per noi abituati a vivere nella “parte buona del mondo”. E’ uno che ha fotografato il mondo e quel mondo se lo porta dentro. E’ nelle sue fotografie, nei suoi occhi vispi, pieni di esperienza e di consapevolezza. Della bellezza della vita ma anche dei suoi lati più oscuri e crudi. Uno che in ogni viaggio si scontra anche con il dolore degli altri. Lo rispetta, lo avverte come responsabilità estrema. Uno dei pesi di questo “lavoro”, un dubbio senza fine. Fotografare sempre e comunque in qualsiasi situazione? E come farlo? Crede fermamente che la fotografia abbia la missione di documentare per far sì che le cose non si ripetano. E non si dimentichino. Ma poi, quando si scontra con la morte e la sofferenza atroce del mondo, la storia cambia e non sa che fare. Non è più certo di nulla. Come quando nel 2003 si ritrova a fare un lavoro da inviato dell’ agenzia Iber-Press a New York a due anni di distanza dall’attentato alle Torri Gemelle. Lo strazio e la morte ce l’ ha avanti. Le sente nell’aria. La città più osservata del mondo. La più fotografata. Che altro potrebbe fotografare? Così tra mille dubbi ed incertezze dopo quaranta giorni nella Grande Mela nasce il lavoro “ I Fantasmi di Ground Zero” . E’ la fotografia dell’assenza. E’ il dolore più grande. Il dolore per chi non c’è più. Come se quei fantasmi si aggirassero per consolare amici e familiari, come se incontrassero tutti i turisti giunti per rendere omaggio. Nelle sue foto c’ è però anche la voglia di risorgere dalle ceneri come la leggendaria Araba Fenice ,ma con occhio sempre rivolto al passato, per non dimenticare. Grazie a questo lavoro, nel 2003 riceve il premio Le logge al Toscana Foto Festival per il miglior portfolio .E nel 2005 arriva anche il Premio Ciriello al Lucania Film Festival nella sezione fotoreportage di guerra. L’anno successivo inizia la collaborazione, che dura tutt’oggi,con l’agenzia di stampa LaPresse riuscendo così a farsi conoscere anche a livello internazionale.
Oggi,il sito internet di Alex si apre con una frase emblematica della scrittrice statunitense Susan Sontag: “ Le fotografie sono uno strumento per rendere reali situazioni che i privilegiati preferirebbero forse ignorare”. E’ il senso che si ritrova negli scatti di Alex. Il contatto tangibile,concreto, con la realtà che vede. E che vive. Perché la fotografia è un dono , ma anche un peso enorme per un fotoreporter. Documentare facendolo nel modo più opportuno. Emozionarsi. Emozionare. E lui è uno che alimenta le passioni dei “suoi” ragazzi in ogni corso che tenga. Uno che vede “ogni cosa illuminata”.
Da quel mercoledi 18 agosto del 1971 in cui è nato, i suoi occhi ne hanno viste tante. Hanno letto libri di Charles Bukoswki, il suo autore preferito, hanno incrociato volti di ogni colore. Quel colore vivo e squillante che predilige nelle sue fotografie.
Occhi che hanno visto colori splendenti in tutti i viaggi, ma anche il buio delle miniere di smeraldi in Colombia. Un viaggio tra la capitale Bogotà e l’entroterra che lo ha cambiato intimamente. Un lavoro che lo ha impegnato dal settembre 2007 al febbraio 2010 e lo ha portato a contatto con una natura vergine, il potere mondiale delle pietre verdi ma soprattutto con la lontananza dalla vita familiare. E’ l’apice della maturità fotografica. Un’esperienza lavorativa e personale importantissima. In un Paese nuovo,il primo problema non trascurabile è proprio la comunicazione. E cosi, Alex impara da zero una nuovo idioma. Lo spagnolo. Affiancato e sostenuto da una compagna di vita instancabile: la sua macchina fotografica. Con estrema caparbietà e grazie alla sua professionalità raggiunge un altro traguardo insegnando fotogiornalismo in tre Università colombiane. Si scontra con l’esigenza di conciliare la sua cultura con usi e costumi del tutto nuovi, scoprendo giorno dopo giorno che la Colombia è un paese ben lontano da ciò che viene descritto al resto del mondo. E così decide di raccontarlo con i suoi occhi. Occhi limpidi, scevri da ogni genere di condizionamento e pregiudizio. E forse è proprio questo l’insegnamento più importante di questo viaggio: bisogna allontanarsi da tutto ciò che ci tiene incatenati alle convinzioni comuni. Ne esce il ritratto positivo di un Paese pieno di risorse, di luoghi meravigliosi e di gente piena di capacità creative. Di tutti i viaggi ,forse è quello che lo ha coinvolto maggiormente segnando una crescita intima e personale davvero notevole, non solo fotograficamente. Negli occhi di Alex si ritrova il mondo nelle sue immense ed opposte sfaccettature. Nelle sue foto ,un messaggio su tutti: siate sempre quello che volete essere , mai cio’ che gli altri vogliono che voi siate. Occorre andare oltre,fare quel salto necessario per “vedere” , per cogliere nuovi scenari. Solo così potrete viaggiare con sguardi curiosi e leggeri. Sguardi positivi, appassionati. Solo cosi, si aprirà dinanzi a voi un nuovo mondo.
“Quanto più in grado siamo in grado di vedere,tanto più c’è da guardare”. Dalai Lama
Silvia Domenici